Un episodio che rivela un carattere.
di Giovanni Magazzeni
Era la fine di marzo del 1944. Le sorti della guerra volgevano al peggio per l’Italia e anche a Castelli cominciò a spargersi una voce che, parsa a molti inizialmente come una semplice diceria, acquistò con il passare dei giorni una minacciosa corposità. Si diceva che era imminente la chiamata alle anni, per una leva anticipata, dei giovani di diciotto e di diciannove anni.
Lo sbarco degli alleati ad Anzio, avvenuto il 22 gennaio, aveva accelerato le fasi della guerra e la Repubblica Sociale di Mussolini, per fronteggiare la loro avanzata e per corrispondere ad una precisa richiesta dei tedeschi, aveva deciso di fare ricorso anche ai giovanissimi. Agli inizi del mese di aprile la voce trovò conferme molto precise e infine cominciarono ad arrivare le cartoline di chiamata alle armi.
Naturalmente l’arrivo delle cartoline gettò le famiglie, anche a Castelli, nel più grande sconforto. I giovani diciottenni e diciannovenni avrebbero dovuto partire verso un futuro di guerra assai incerto e dall’altrettanto incerto ritorno. Oltre a far mancare alle proprie famiglie un aiuto diventato determinante per le difficili condizioni economiche e per la sopravvivenza stessa di ogni giorno, la loro partenza per la guerra li avrebbe visti del tutto impreparati e assolutamente incapaci ad affrontare l’evento.
Lo sgomento dei giovani e delle loro famiglie raggiunse il massimo quando si seppe che le reclute sarebberò state jnviate, per un periodo di addestramento militare, in Germania. La paura dei tedeschi, di una rischiosa permanenza in Germania e di un futuro impiego in prima linea contro gli avanzanti alleati, gettarono le famiglie nello sconforto più profondo. Tanto più che all’obbligo della partenza si aggiungeva una minaccia, per nulla velata: le famiglie dei giovani che si fossero rifiutati di partire e fossero risultati renitenti, avrebbero subito pesanti ritorsioni. Si parlava di requisizioni, di case bruciate e di altre ancor più spiacevoli eventualità.
In molti speravàno che gli alleati potessero arrivare in Abruzzo prima che i giovani castellam dovessero partire, ma essi avevano trovato una forte resistenza a Cassino e la loro avanzata aveva subito un arresto. Così si avvicinava la data della partenza senza che si riuscisse a poterla scongiurare.
Fu allora che si verificò un episodio che richiama, sia pure da lontano, quello ricordato in Schindier ‘s list. C’era a Castelli una fabbrica di ceramiche, la Spica, che aveva subito una riconversione bellica e che aveva iniziato a produrre da qualche tempo candele di accensione, anche per vetture militari. Il titolare della fabbrica, Potito Randi, diede inizio ad una difficile trattativa con le autorità militari, intesa a trattenere a Castelli il maggior numero possibile di giovani tra quelli che erano destinati in Germania per essere addestrati in vista dell’arruolamento nella Repubblica Sociale. Alle autorità militari italiane e tedesche e alle autorità civili della provincia Potito Randi ripeta più volte la necessità che quei giovani restassero a. Castelli. Erano assolutamente indispensabili, spiegò, perché non diminuisse, anzi perché non si arrestasse, la produzione delle candele. Lo stabilimento era già in piena attività giorno e notte e non poteva permettersi di perdere una sola unità.
Alcuni dei giovani castellani che dovevano partire erano già occupati nello stabilimento e di altri il titolare della Spica si affrettò a chiedere formalmente l’impiego. Il suo tentativo ebbe un parziale successo. Molti furono i giovani castellani che dovettero partire. Un giorno di aprile essi furono fatti salire su un camion militare e partirono, salutati dai familiari in lacrime. Ma non furono pochi i giovani ai quali fu invece consentito di restare, perché assicurassero alla Spica la possibilità di continuare e di increìnentare la produzione delle candele. La loro partenza era stata solo rimandata, ma ben presto, dopo aver superato lo sbarramento di Cassino, arrivarono gli alleati, e le fasi successive della guerra, con il superamento della linea gotica, vanificarono una chiamata alle armi che risultò di fatto inefficace.
Io non fùi tra i fortunati che potettero restare a Castelli evitando una “avventurosa partenza”, ma, a conoscenza dell’episodio, potei ugualmente considerano un elemento di profonda riflessione. Esso infatti, tra l’altro, mi permise di scoprire il lato nascosto del carattere di Potito Randi e ciò mi aiutò in seguito nel mio rapporto con lui, come suo dipendente per più di trent’ anni.
Forse anche egli aveva studiato il mio carattere e ciò ci permise di basare il nostro rapporto sulla reciproca stima. Io avevo capito che egli era di una profonda umanità ed egli, consapevole che questa dote poteva per un imprenditore risultare un elemento negativo nella gestione delle aziende, aveva predisposto degli “schermi” che gli permettevano di esprimere la fermezza d’animo necessaria in tante occasioni.
Da questi “schermi” nasceva l’errore di alcuni nell’interpretazione del suo carattere, errore che poi rientrò a mano a mano che altri imprenditori subentrarono nella gestione delle aziende da lui create.